Tra Masha e Matcha

Girare a destra
“Quindi chi dovremmo incontrare? Gira a destra”
“Un uomo. Qui?”
Sposto lo sguardo e una fabbrica grigia, dismessa e con alcune delle finestre ormai rotte, mi fissa in modo minaccioso.
“Beh, se fossi in te aspetterei di aver superato la casa dell’orrore”
“Daiii! Comunque dicevo…”

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Ippopotami 

​È notte e non riesco a dormire. Non è questione di ansia o insonnia, non ho esami o preoccupazioni imminenti. Certo, ho le solite preoccupazioni che competono a un eroe come la salvezza del mondo ma nulla che non possa aspettare domani. Dicevo, non riesco a dormire.

Quando si è in questa situazione, di solito, si attuano due soluzioni.

La prima è leggere. Utilizzo la mia capacità sonar e mi figuro la stanza nella mia mente. Il piano è semplice: allungare il braccio dietro di me e recuperare la lucina, ripetere per il libro. Lucina: presa! uh hu! Libro: pres…in quel momento ricordo che, appoggiato sulla copertina, avevo messo il telefono. Con una mossa fulminea faccio un cambio-scambio degno dei migliori prestigiatori e salvo il cellulare. Il libro, chiaramente offeso dalla mia scelta, decide di lanciarsi al suolo creando una sinfonia simile a quella di un sasso lanciato in un palazzo di vetro. 

È notte, non riesco a dormire e sono senza libro. Beh, sono sempre stato un fan dei famosi “piani B” e, allora, piano B sia: film mentali!

Vediamo dove ero rimasto? Ah sì, il libro. Sì voglio scriverlo cosa abbiamo detto giallo sì giallo una donna una donna se la donna è la colpevole ci deve essere qualcosa per riconoscerla come un rossetto no un profumo sì un profumo particolare cavolo quella ragazza al sushi aveva un profumo buonissimo ma forse era shampoo boh non importa aveva i capelli profumosi e questo è l’importante dicevo profumo scontato perché profumo colla uomo e colla magari attack bello l’attack specialmente quando ti attacchi le dita che poi si crea la pellicina domani devo finire quella missione in gta ma ti pare che l’elicottero debba essere così ingovernabile? Dicevo colla o donna non ricordo forse libro giallo o fantasy ma forse giallo fantasy nono troppo complesso facciamo un fumetto si ecco un fumetto ma non so disegnare beh semplice allora libro però voglio fare un fumetto ippopotamo nell’acqua cosa? Che cosa c’entra mai un ippopotamo nell’acqua ora ora ora che ore sono le tre forse devo dormire però ippopotamo nell’acqua mi piace come titolo oppure ippopotamo sull’acqua o ippo che vola voglio volare lontano sognare di volare ormai lo sogno spesso di lanciarmi e cadere e poi volare di solito per 20 metri poi la smetto che sono stanco si sono stanco e non riesco a dormire ma posso fare discorsi di senso compiuto avrò finito i compiti di matematica cosa dico sono 6 anni che non faccio matematica sì dovrei dormire ippopotamo sull’acqua

Il Serpente

Sono in treno. Sto tornando a casa.

Guardo fuori dal finestrino le luci della città che piano a piano spariscono, lasciando spazio alla campagna e al buio più totale. La bellezza e l’avventura di questa tratta di treno che sto percorrendo è che non ci sono lampioni quindi non sai mai quando sei veramente arrivato.

Certo, puoi decidere di farti furbo e magari contare le tappe e le fermate che ti separano da casa…sperando che il treno non decida di fermarsi in quel magico posto “tra il nulla e l’addio” [per riprendere una frase di Million Dollar Baby] che da queste parti vuol dire in aperta campagna. Penso che non sia importante, al massimo mi ritrovo da un’altra parte e mi basterà aspettare il treno dopo.

Sono in treno ed è sera.

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La finestra e la luna

Da piccolo avevo una convinzione, che persiste ancora oggi: le finestre sono dei portali verso altri mondi. Non so di preciso perché le finestre e, per esempio, non le porte (che poi sarebbe anche più logico), forse perché dalle prime era possibile vedere il mondo esterno; dalle seconde, no. Fatto sta che avevo questa convinzione: ognuno viveva nel suo micro mondo chiamato casa e, per spostarsi, doveva andare nelle zona comune, le strade.

Questa idea è rimasta in me in modo inconscio tanto che, in diversi sogni, io, protagonista indiscusso ed eroe supremo, per inseguire il cattivo o compiere la mia buona azione quotidiana da “Ehi Karma Up!”, devo passare attraverso una finestra, di solito minuscola.

Sogni a parte, tre sono le finestre che, in un modo o nell’altro, mi hanno, per modo di dire, segnato.

La prima si trova a casa dei miei nonni e, per la precisione è la finestra della cucina: una finestra normale che dà su un cortile, altrettanto normale, con i box e un giardinetto rettangolare composto da alberi e qualche pianta aromatica. Sul lato destro di questo piccolo spazio verde si snoda una stradina fatta con delle lastre quadrate di cemento, tutto perfettamente normale. Ma quindi cosa solleticava la mia immaginazione? Il fatto che, dalla finestra e solo da quella finestra, fosse impossibile vedere, a causa di una siepe, l’angolo destro posteriore del giardino o, per rendere il tutto più misterioso, dove andava a terminare la stradina.

Ora, io so che termina nel nulla e che fu costruita solo per non calpestare il verde ma, per moltissimo tempo, la mia mente da bambino rimase convinta che ci fosse una sorta di passaggio segreto nel muro che poteva condurre in un posto ancora più magico. Ricordo, come fosse oggi, che nel momento in cui ebbi per la prima volta questa epifania, stavo leggendo Le Cronache di Narnia. L’associazione fu facile: loro possono andare a Narnia attraverso un armadio? Beh, io ci andrò attraverso il muro. Non vi dico la delusione quando scoprii che quel muro era, solo, muro.

La seconda finestra è quella di camera mia e, anche questa dà su un giardino, a primo sguardo normale. Siamo ancora in un giardino rettangolare, più grande di quello di prima, senza alcuna stradina e “sopraelevato” rispetto alla zona dei garage (insomma come dire che i garage sono al piano 0 e i giardini al piano 1). Non ho idea di quanto tempo abbia passato lì, principalmente a giocare a pallone con i miei primi amici della scuola elementare. Se mi affaccio posso ancora vedere l’arbusto che ti pungeva ogni volta che provavi a recuperare il pallone dalle sue grinfie, la siepe sul lato lontano che serviva come limite al nostro fittizio campo da calcio ma anche per osservare cosa succedeva “al di là” dello stesso e, infine, i due alberi che fungevano da porta. Erano messi a una distanza perfetta, tanto che spesso mi sono chiesto se non avessero deciso di crescere in quel modo proprio per permetterci di usarli come pali. Non penso, ma resto nella mia convinzione.

Tra noi bambini vigevano due regole non scritte e a malapena sussurrate: nel caso in cui la palla fosse caduta nella zona bassa(quella dei garage per intenderci) il responsabile avrebbe avuto l’onere di andare a recuperarla, di corsa possibilmente; se la palla fosse finita nella Zona Proibita, tutti avrebbero dovuto farsi coraggio e affrontare il pericolo.

La Zona Proibita non esiste e non c’è nessun pericolo, era solo un modo che avevamo noi per chiamare una parte strana del giardino. Proverò a farvi capire meglio. Immaginate un rettangolo dove però uno dei lati corti non si congiunge con uno dei lati lunghi e, di conseguenza, non si chiudono nel caratteristico angolo retto ma lasciano aperto un pertugio. Ora pensate di passare attraverso questo pertugio e trovarvi all’interno di un altro giardino, molto piccolo e sempre rettangolare, con nulla. Ecco, siete nella Zona Proibita. Per molto tempo, ricordo, abbiamo pensato che quella porzione di verde non fosse nostra ma di un altro gruppo di appartamenti; era chiamata Zona Proibita anche perché era, appunto, vietato, nascondersi lì durante nascondino. Non che qualcuno ci fosse mai andato, la paura dei mostri era troppo grande, non eravamo ancora dei prodi eroi.

L’ultima finestra non si trova in Italia ma in Francia, a Caen, se vogliamo essere precisi, ed era la finestra della mia minuscola stanza (o forse dovrei dire del mio minuscolo mondo?) al campus. Ho amato quella finestra fin dal primo giorno e, anche se sembrerà strano, è probabilmente una delle cose che più mi mancano. Da lì era possibile avere un numero infinito di informazioni utili: il tram era già arrivato o potevo stare ancora dieci minuti a letto? La mensa era ancora aperta o dovevo ruspare nel frigo? Facevo in tempo ad andare al Carrefour a prendere del cioccolato? Insomma cose utili per la sopravvivenza.

E poi c’era la luna. Da sotto le coperte potevo vederla: splendente, nitida, a volte accecante ma sempre presente. Quando decidevo di andare a letto passavo qualche minuto a osservarla e a salutarla, come una vecchia amica. Ho anche immaginato – sperato di essere l’unico a vederla, che lei fosse lì solo per me e forse non avevo neanche tutti i torti. Troppo presuntuoso? Forse, ma la mia stanza era l’unica con le tende perennemente non tirate: pioggia, vento, neve, grandine non importava: non potevo oscurarla.

Ho un ricordo vivido, uno di quelli che non si possono dimenticare e se chiudo gli occhi, mi sembra di essere ancora in quella stanza: è il giorno prima di un esame e sono sdraiato. Sono quasi pronto a dormire ma voglio terminare il capitolo del libro per far passare l’agitazione, non ci riesco, il sonno è troppo forte. Chiudo gli occhi un attimo, il libro ora è appoggiato sulla coperta e il mio dito funge da segnalibro. Lo metto sulla mensola e spengo la luce. Osservo il cielo e lei è lì luminosa, piena, a osservarmi, a proteggermi e a dirmi che andrà tutto bene.

Pioggia

Piove. Proprio oggi che, avendo appena terminato un gioco avevo voglia di distrarmi ripensando alle ultime battute dello stesso e magari uscire a camminare con della buona musica nelle orecchie, piove. E non quella pioggia leggera, piacevole, dove potrebbe anche essere bello correre – certo presupporrebbe che io corra, cosa assolutamente non vera – ma una pesante, che ti scivola lungo il collo e poi per tutta la schiena riempiendoti di brividi.

Piove. Mi piace la pioggia, specialmente quando sono in casa, sotto la coperta e con un the bollente appena preparato a scaldarmi le mani (o forse fatto proprio per scaldarmi le mani, poco importa): un the nero per la precisione, speziato.

Perché speziato? Ho letto il retro del libro di Roth, Pastorale Americana e credo possa essere un buon abbinamento.

Piove ed è autunno. L’autunno è la mia stagione preferita. Il caldo afoso e pesante della Pianura Padana è un ricordo ancora vivido ma non più presente, i giorni si accorciano e le giornate calde si alternano ai primi freddi e alle prime cioccolate calde, rigorosamente con panna. E poi ci sono gli alberi. Guardo la fila di alberi che si vedono dalla finestra. Le foglie, ormai, sono un insieme unico di colori: a fianco di foglie gialle ne sbucano alcune rosse, altre marroni e altre ancora che persistono in una lotta contro la stagione e l’arrivo dell’inverno, sfoggiando con orgoglio un verde intenso, quasi anacronistico.

Un soffio di vento più forte degli altri fa muovere le fronde e una decina di foglie si staccano dai rami svolazzando stancamente verso terra e andando a creare il caratteristico foliage della stagione.

Malinconia. Se la primavera è la stagione del risveglio e l’inverno della speranza per l’avvento del nuovo anno, l’autunno è quella della malinconia. Mi perdo a osservare il cielo grigio, assorto in pensieri di ricordi lontani. Un uccellino attira la mia attenzione, zampetta su un ramo e osserva il mondo, quasi pronto a spiccare il volo. Un’altra folata di vento arriva e gli fa arruffare tutte le piume. Capisce che non può stare in quel posto, che non è sicuro. Lo vedo mentre lentamente si prepara e si lancia nel vuoto. Posso sentire quel brivido che deve aver provato prima di aprire le ali, prima di trovarsi in una situazione nuova, prima di essere “libero da pericolo”. Lo guardo e mi dico che a volte dovrei essere come lui, guardare dove mi trovo con la mia vita, prendere un bel respiro e volare libero.

Il the è pronto, per oggi il volo può aspettare. Dopotutto piove. E pioverà anche domani.

Frammenti di Lucca Comics & Games 2016

Ed eccoci qui. Anche per quest’anno il Lucca Comics & Games, arrivato alla sua 50esima edizione, è finito.

Inutile dire che, da ormai sei anni, Lucca è più di una vacanza: è un’esperienza formativa vera e propria (perché stare attorniati da migliaia di persone che spingono, urlano, creano ingorghi e il tutto con bambini che piangono e strillano non è proprio la mia idea di vacanza rilassata, ma ovviamente non vai a Lucca per rilassarti). Per di più è uno dei pochi periodi dell’anno dove ho la possibilità di incontrare e passare dei giorni con amici che vivono sparsi un po’ in tutta Italia.

Ma, come si suol dire, bando alla ciance e iniziamo!

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